Non viviamo più nel castello

Abbiamo sempre vissuto nel castello è l’ultimo romanzo compiuto di Shirley Jackson. Pubblicato nel 1962, finì nello stesso anno nella classifica del Time dei migliori dieci romanzi del ’62. In Italia è arrivato nel 1990, e oggi è possibile trovarlo nel catalogo di Adelphi (edizione bellissima, molto elegante). Negli States, dove Jackson è nata e cresciuta, questo romanzo insieme a tutti gli altri dell’autrice (e ai suoi tantissimi racconti) è molto conosciuto e viene letto nelle scuole. Qui in Italia invece scorre un po’ in sottofondo e se ne parla soltanto in alcuni ambienti specifici, forse a causa delle sue particolarità stilistiche e narrative. La storia di Mary Katherine e di Constance Blackwood è infatti molto particolare, tant’è che, se altri romanzi di Jackson sono stati adattati negli anni, come La Lotteria e L’Incubo di Hill House, questo è rimasto per moltissimi anni solo un romanzo. Almeno, fino al 2018, quando è uscito negli U.S. Mistero a Castello Blackwood, film di cui parleremo in questo articolo.

Una donna vissuta nell’epoca sbagliata

Sul mio profilo Instagram ho pubblicato un reel in cui vi parlo della vita di Shirley Jackson, che vi ripropongo qua sotto perché mi è venuto molto bene.

Il romanzo

Come ho detto sopra, Abbiamo sempre vissuto nel castello è l’ultimo romanzo compiuto di Shirley Jackson, che muore nel 1965 a causa delle sue pessime condizioni di salute. È un libro piuttosto breve – è formato solo da dieci capitoli – ma denso sia di avvenimenti che di significati sottintesi.

La storia ruota intorno alla famiglia Blackwood, che vive in una grande casa in cima a una collina, dove i suoi componenti conducono una vita volontariamente solitaria e raccolta. Mary Katherine, detta Merricat, è la narratrice – completamente inattendibile – che ci porta con sé nella sua vita quotidiana, schematica e scandita da compiti sempre uguali che coinvolgono anche il villaggio ai piedi della collina, i cui abitanti detestano profondamente i Blackwood e li vorrebbero tutti morti, anche se il perché verrà soltanto intuito, e soltanto in un secondo momento. Gli altri abitanti della casa sono Constance (sua sorelle) e Zio Julian, che seguono anch’essi uno stile di vita che sembra quasi precostituito. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti: questo ci viene detto già nell’incipit. Il come, e il perché, verranno fuori soltanto verso la fine del libro. Questo ordine statico comunque verrà bruscamente alterato dall’arrivo di un nuovo personaggio, Charles, cugino delle sorelle Blackwood, che si insedierà in quella casa con apparente naturalezza (per lui).

I temi

Abbiamo sempre vissuto nel castello nasconde, dietro uno stile semplicissimo che rasenta l’infantile, temi complessi e controversi. Personalmente, leggendolo vi ho ritrovato davvero molti riferimenti alla malattia e alla morte, soprattutto quella che riguarda una persona cara. Questo tema può essere ritrovato in ogni riflessione che riguardi zio Julian (personaggio che reputo forse il mio preferito del libro) e, più in generale, in quasi ogni spezzone che abbia lui all’interno. Zio Julian è un uomo malato a causa di quello che è accaduto sei anni prima alla famiglia, e credo che funga un po’ da monito sia per il lettore che per Merricat di quel fatidico giorno in cui la famiglia è stata quasi completamente sterminata. La sua ossessione per il suo lavoro è una sorta di mausoleo alla memoria della famiglia ma, più in particolare, del trauma che ha subito. E in effetti, anche Constance potrebbe in qualche modo rispecchiare questo trauma.

In effetti, tutti i personaggi principali – meno Charles – vivono seguendo uno stile di vita che sembra essersi plasmato sul trauma della morte: Merricat non sta bene, ha la mentalità di una ragazzina di dodici anni nonostante ne abbia diciotto e vive in una sorta di continua realtà parallela (la Luna); Constance, d’altro canto, vive isolata, sembra soffrire di agorafobia e non lascia mai la casa. Inoltre, vive in un modo quasi disincantato, zuccheroso oserei dire; sotto quella maschera, però, si cela una donna normale con una consapevolezza mostruosamente concreta di ciò che le accade intorno e di ciò che sta alla base della sua strana vita.

Oltre al tema della convivenza con il trauma, possiamo evidenziarne anche altri che riflettono moltissimo il sentire dell’autrice. Basti pensare all’isolamento della famiglia, proiezione dei problemi che Shirley Jackson ha avuto negli ultimi anni della sua vita (soffriva di ansia e di agorafobia), o al potere femminile, che pervade tutto il libro, mostrandoci due donne che, pur essendo stranissime, reggono in piedi l’intera vicenda, in netta contrapposizione con Charles e il suo potere maschile, che si insinua nella casa con l’obiettivo di prevalicarle. C’è poi anche il relativismo della verità, che emerge soprattutto con zio Julian e le sue continue domande sul fatidico giorno. Il tema più complesso del romanzo resta, a mio parere, quello che riguarda l’espiazione delle colpe, e che riguarda in prima persona Merricat (ma non vi dirò perché: sarebbe uno spoiler troppo grande).

Il film

Mistero al castello Blackwood è uscito negli States nel 2018. Diretto da Stacie Passon, vede nel suo cast attori molto famosi, come Taissa Farmiga, Alexandra Daddario, Sebastian Stan e Crispin Glover. Inoltre, in originale il titolo è uguale a quello del romanzo: non so perché qui in Italia abbiano dovuto cambiarlo, ma andiamo avanti.

Di base il film non è brutto: probabilmente se non avessi letto il libro mi sarebbe piaciuto… Il problema principale è che hanno stravolto il senso della storia. Ci sono dei cambiamenti – è ovvio che ci siano, ogni adattamento comporta delle scelte – il punto, però, è che si sta parlando di una traduzione di un testo da un mondo ad un altro. Può quindi cambiare il modo in cui viene comunicato il contenuto, ma non il contenuto stesso. E purtroppo è quello che accade in questo film.

Il cast è di tutto rispetto, e infatti per quanto riguarda l’interpretazione dei singoli personaggi non ho nulla da dire. Il problema non è neanche nella scrittura in sé: ogni personaggio viene reso al meglio, è coerente con la sua immagine di carta. È il messaggio di fondo ad essere sbagliato, e ora vi spiegherò perché (secondo me).

Nel libro il punto di vista è quello di Merricat, per questo si parla di narratore inaffidabile: è una ragazza particolare, che dice e fa cose particolari. Leggendo il libro, quindi, vediamo la sua versione degli eventi, proviamo le sue emozioni. E, se all’inizio può sembrarci un’innocua, seppure strana, diciottenne che ha vissuto un trauma e non si è mai ripresa, riflettendoci un po’ su emerge chiaramente che l’antagonista dell’intera vicenda è proprio lei. Il punto è che, se nel romanzo Shirley Jackson si sforza di non inserire una morale alla fine – osserviamo neutrali quello che Merricat fa e dice, un po’ come fa Constance – nel film non hanno rispettato questa neutralità.

Al contrario, nella pellicola fanno passare Merricat e Constance – ma soprattutto la prima – come legittimata nel fare quello che fa; sbagliatissimo, onestamente credo che Jackson non avrebbe approvato. Il bello del romanzo è proprio l’ambiguità di fondo, che crea stranezza e straniamento nel lettore. Nel film si sceglie un punto di vista e si sfrutta, cosa che non va bene, perché stravolge completamente il messaggio della storia.

Inoltre, nel film alla fine c’è un delitto (non dirò chi muore); nel libro questa cosa non esiste: è l’ennesima legittimazione della “bontà” di Merricat, che ha ragione nell’essere com’è perché il mondo (e in particolare gli uomini) sono malvagi. C’è anche tutto un filone di sottintesi che vorrebbero rendere John Blackwood (il defunto padre delle sorelle) una specie di despota malvagio che si meritava di morire; ma nel romanzo non viene detto.

Quindi, viene giustificato il comportamento di Merricat in partenza; lo spettatore è già schierato, e non ha la possibilità di cogliere la magnificenza del dualismo che c’è nel libro, il che è un gran peccato. Il romanzo riesce a porci di fronte ad un rapporto malato, ad una logica contorta che non viene mai messa in dubbio e che, proprio per questo, crea disagio e inquietudine.

Nel film non c’è niente di tutto questo, e viene concretizzato il lato “magico” di Merricat che, sempre secondo me, è in realtà parte del suo grande gioco (il villaggio simile ad un gioco da tavolo, la Luna e gli incantesimi). Hanno cercato di rendere più sovrannaturale una storia in cui non c’è assolutamente nulla del genere, snaturando completamente l’opera.

La rimetto a voi: avete letto Abbiamo sempre vissuto nel castello? Cosa ne pensate? Se avete visto anche il film (o solo il film) scrivetemi, sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate.

Il mondo è pieno di persone orribili.

Abbiamo sempre vissuto nel castello, Shirley Jackson

Autore: Francesca

Scrivo. In pratica non so fare altro: sono goffa, timida e secondo qualcuno amo dormire a testa in giù. Ma amo anche leggere e osservare. Insomma, mi piace scappare dal mondo reale per rifugiarmi in quelli immaginari.

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